Il Sen. Carlo Bo (1911 – 2001) ha presieduto per cinque edizioni, dal 1997 al 2001, la Giuria del Premio nazionale Gentile da Fabriano. La morte lo ha colto, per le conseguenze di una caduta nella sua casa di Sestri Levante, nel luglio 2001 ed egli non ha potuto cosi prendere parte alla cerimonia conclusiva della quinta edizione, il 6 ottobre 2001. Nella ricorrenza centenaria vogliamo richiamarci, anche nella forma dell’immagine fotografica, alla sua indimenticabile presenza al Premio.
Bo giungeva a Fabriano da Urbino, solitamente accompagnato da Ursula Vogt e da altri docenti e collaboratori dell’Università feltresca, di cui era Rettore dal 1947. Alcune immagini ne ritraggono il suo arrivo, altre lo riprendono con i membri della Giuria, molte, la gran parte, hanno come obiettivo il suo volto, ripreso in atteggiamenti differenti, ma sempre con il suo immancabile “toscano”. Tutte le foto sono state scattate all’Hotel Janus, ove si è tenuto il Premio nelle prime sei edizioni. Poi si scelse la splendida sala dell’Oratorio della Carità, dove ancora oggi si tiene la cerimonia conclusiva del Premio.
Bo ha presieduto la Giuria del Premio dando a tutti noi un esempio di rigore e di liberta, con il suo stile inimitabile, fatto di parole essenziali e di molti silenzi. Lo scorso anno il Card. Gianfranco Ravasi, ricevendo il Premio proprio nella Sezione “Carlo Bo per l’arte e la cultura”, ricordava di aver ascoltato dallo stesso Bo, nei frequenti colloqui milanesi, una frase a suo modo significativa: “ E’ necessario rompere il silenzio solo per dire una cosa più importante del silenzio stesso”. Possiamo dire dunque che avendo fatto un uso parco della parola, acquisiscono rilevanza le sue stesse immagini, i gesti, il volto, il modo di procedere, l’accensione del sigaro, lo sguardo profondo, a volte severo a volte dolcissimo, i suoi occhi grandi.
Ha scritto Bruno Forte che “volti e ritratti sono ponti lanciati tra le solitudini”. La persona è il suo volto e il volto è soglia, spazio di incontro e di comunicazione con altri, linguaggio, strumento e limite. Il volto è la frontiera in cui esteriorità e interiorità di ogni singola persona passano l’una nell’altra, esalta il valore della differenza, la singolarità irripetibile esibita nella misura dell’esteriorità irriducibile alla presa egoistica. “Torni l’etica dei volti, tornino i volti”, è l’appello di Italo Mancini che sviluppa il tema levinasiano in un volume di fine anni ottanta. Dire uomo è dire volto dell’uomo. Per stare nel mondo, vivere ed amare servono i volti, “da guardare, da rispettare, da accarezzare”, cosicché una pace vera richiede la presenza di una comunità pacificata di volti. E la cifra caratteristica del terzo millennio – dopo l’essere dell’età classica e della grecità, l’io dell’età moderna – dovrebbe divenire l’altro e il suo volto.
“In un volto l’attimo di vita / strappato al tempo da una foto / per affidarlo al ricordo che / di quell’attimo fa il per sempre”, così Stefano Zecchi in un pensiero sulla relazione tra fotografia e tempo. Ma lasciamo che siano le immagini a dirci di una figura di intellettuale tra i più grandi del novecento, che ci ha fatto dono della sua amicizia e della sua partecipazione al Premio. Di questo e di tutto quanto ci ha insegnato lo ringraziamo in modo imperituro.
Galliano Crinella (8 ottobre 2011)